Sentenza n. 146 del 2023

SENTENZA N. 146

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA;

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, del codice penale, promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Torino nel procedimento penale a carico di S.M.N. Z., con ordinanza del 21 marzo 2022, iscritta al n. 83 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visti l’atto di costituzione di S.M.N. Z., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 23 maggio 2023 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi l’avvocato Roberto Brizio per S.M.N. Z. e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 7 giugno 2023.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 21 marzo 2022 (reg. ord. n. 83 del 2022), il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Torino, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, del codice penale, nella parte in cui non consente l’astratta l’ammissibilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato in ipotesi di omicidio stradale, allorché non ricorra alcuna aggravante e si ravvisi l’attenuante ad effetto speciale del concorso di cause di cui all’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen.

2.– In punto di fatto, il rimettente espone che S.M.N. Z. è imputata del delitto colposo di cui all’art. 589-bis cod. pen., per avere cagionato, alla guida della propria automobile su una strada urbana, la morte del pedone G. G., che è stato da lei investito mentre stava attraversando la strada.

Il profilo di colpa specifica imputata a S.M.N. Z. consisterebbe nella violazione dell’art. 141, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), per avere omesso di regolare la velocità in modo da essere in grado di arrestare tempestivamente il veicolo dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile, in un tratto di strada urbana caratterizzato dalla presenza di una fermata tramviaria e di parcheggi sul controviale, con prevedibile presenza di pedoni fuori dalle strisce pedonali.

Non ricorrerebbe alcuna circostanza aggravante, né comune né speciale; in particolare, non sussisterebbero le aggravanti specificamente contemplate dalla stessa norma incriminatrice in tema di omicidio stradale, poiché l’imputata non si trovava in stato di ebbrezza o di alterazione conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti, non viaggiava ad una velocità superiore a 70 chilometri orari, non stava attraversando un incrocio con il semaforo disposto al rosso, non circolava contromano né stava compiendo una manovra di sorpasso o di inversione del senso di marcia.

Sarebbe invece ravvisabile la specifica circostanza attenuante ad effetto speciale prevista dall’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen., che stabilisce la diminuzione della pena sino alla metà qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza della condotta del colpevole: la causa concorrente, precisamente, andrebbe ravvisata nel fatto colposo della vittima, che al momento dell’investimento stava attraversando la strada fuori dalle strisce pedonali, a notevole distanza dall’incrocio semaforico.

Il giudice a quo riferisce che l’imputata ha personalmente presentato istanza scritta, diretta a ottenere la sospensione del procedimento con messa alla prova, ai sensi degli artt. 168-bis e seguenti, cod. pen.

Per la concessione di tale beneficio ricorrerebbero tutti i presupposti richiesti dalla legge: l’interessata, persona incensurata dotata di regolare attività lavorativa, avrebbe tenuto una condotta sia antecedente che successiva al reato che ne dimostrerebbe l’assenza di capacità criminale e autorizzerebbe, unitamente ad un giudizio di minima pericolosità, una prognosi ampiamente positiva circa la futura astensione dal commettere altri illeciti; essa, infatti, non sarebbe mai stata coinvolta prima in incidenti stradali, dal che potrebbe inferirsi l’estemporaneità ed occasionalità del reato commesso, frutto di una momentanea ed isolata disattenzione alla guida; nell’immediatezza del fatto sarebbe rimasta sul luogo del sinistro, mettendosi a disposizione del personale di polizia ivi intervenuto; dopo il fatto, infine, avrebbe mostrato disagio e sofferenza per quanto accaduto, sottoponendosi ad un percorso di sostegno psicologico ed attivandosi sollecitamente per far ottenere agli eredi della vittima l’integrale risarcimento del danno, di cui avrebbe dato prova mediante produzione in giudizio degli atti di liquidazione e quietanza.

La richiesta di messa alla prova – beneficio di cui non avrebbe in precedenza mai usufruito – sarebbe stata formulata tempestivamente nel corso dell’udienza preliminare; l’imputata avrebbe debitamente inoltrato l’istanza all’Ufficio interdistrettuale di esecuzione penale esterna (UIEPE) di Torino per l’elaborazione del programma trattamentale; infine, essa si sarebbe dichiarata disponibile a svolgere lavori di pubblica utilità, mediante l’esperimento di compiti di rilievo sociale, anche nel settore della sicurezza stradale.

Però – rileva il rimettente – l’accoglimento dell’istanza dell’imputata sarebbe impedito, nella fattispecie, dal superamento del limite edittale massimo di pena detentiva alla cui sussistenza l’art. 168-bis, primo comma, cod. pen., subordina la concessione del beneficio: infatti, salvo che si proceda per un delitto rientrante tra quelli indicati nell’art. 550, comma 2, del codice di procedura penale (reati a citazione diretta), la sospensione del procedimento con messa alla prova può essere concessa solo ove si versi in ipotesi di reato punito con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, mentre il delitto di omicidio stradale è punito con la reclusione pari, nel massimo, a sette anni.

Il giudice a quo evidenzia che la preclusione alla concessione del beneficio derivante dal fatto che la fattispecie delittuosa per cui si procede sia punita con una pena edittale superiore nel massimo al limite stabilito dall’art. 168-bis, primo comma, cod. pen., non sarebbe neutralizzata dal concorso della circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen.

Il rimettente osserva, al riguardo, che il giudice della nomofilachia (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 31 marzo-1° settembre 2016, n. 36272), sulla base del dato testuale dell’art. 168-bis, primo comma, cod. pen., nonché di un’interpretazione logico-sistematica fondata sulla natura e sulla funzione dell’istituto, ha affermato che, ai fini dell’individuazione dei reati ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell’istituto della sospensione con messa alla prova, il richiamo contenuto nella norma predetta alla pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni va riferito alla pena massima prevista per la fattispecie base, non assumendo a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.

Secondo il giudice a quo, il principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, che esclude il computo delle aggravanti, non sarebbe estensibile anche alle attenuanti, ed in particolare a quelle ad effetto speciale; anzi, avuto riguardo al fondamento stesso del predetto principio, quale desumibile dalla richiamata pronuncia delle Sezioni unite (da individuarsi nell’esigenza di ampliare il perimetro applicativo dell’istituto premiale), dovrebbe piuttosto ritenersi che le diminuenti ad effetto speciale debbano essere prese in considerazione al fine di determinare la pena astrattamente applicabile in caso di messa alla prova.

Comunque, anche computando l’attenuante ad effetto speciale, concretamente sussistente nella fattispecie, del concorso del fatto colposo della vittima, la concessione del beneficio risulterebbe inibita in ragione dell’operatività di un’altra regola di diritto vivente, la quale imporrebbe, in termini generali, che quando si deve determinare la pena massima astrattamente irrogabile in caso di reato circostanziato, dovrebbe trovare applicazione il criterio dell’aumento massimo per le aggravanti e della diminuzione minima per le attenuanti (ex multis, Corte di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 30 gennaio-7 marzo 2002, n. 8906).

Pertanto, la diminuzione operabile sarebbe quella minima pari ad un giorno di reclusione, sicché il reato per cui si procede resterebbe al di fuori di quelli ai quali è astrattamente applicabile la disciplina dell’istituto della sospensione con messa alla prova, avuto riguardo al limite edittale massimo della pena prevista.

3.– Tutto ciò evidenziato, il giudice a quo, nel sollevare le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, cod. pen., nei termini sopra indicati, osserva, in punto di rilevanza, che la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale, alla luce dell’interpretazione prevalsa nel diritto vivente, sarebbe d’ostacolo all’applicazione dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova nella fattispecie concreta, cosicché la richiesta dell’imputata, nonostante la concorrenza di tutti gli ulteriori presupposti sostanziali e processuali previsti dalla legge, dovrebbe essere respinta, non essendo consentito tenere conto, ai fini dell’individuazione del limite massimo della pena detentiva astrattamente applicabile, della concorrente circostanza attenuante ad effetto speciale del concorso causale della vittima, o comunque, dell’intera portata diminuente di essa.

Ove tale preclusione fosse rimossa, consentendosi il computo della detta attenuante nella sua massima portata diminuente, con riduzione della pena sino alla metà, il dimezzamento della pena edittale massima farebbe rientrare il delitto per cui si procede tra quelli per i quali è consentita l’ammissione al beneficio, con conseguente possibilità di accoglimento dell’istanza dell’imputata.

4.– Quanto al giudizio di non manifesta infondatezza, il rimettente muove dalla considerazione che, nell’ipotesi in cui concorra l’attenuante di cui all’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen., si determina una sensibile attenuazione della gravità concreta del reato, sia sul piano oggettivo che sul piano soggettivo: da un lato, infatti, l’attenuante in parola, in deroga al principio generale di cui all’art. 41 cod. pen., attribuisce rilievo al concorso di cause diverse dall’azione od omissione del colpevole, sicché il giudizio sulla gravità di tale condotta deve tenere conto del fatto che essa non è la causa esclusiva dell’evento (nella specie, ascrivibile solo in parte alla guida incauta dell’imputata, in quanto riconducibile anche al fatto illecito della vittima, che aveva intrapreso l’attraversamento pedonale fuori dalle apposite strisce); dall’altro lato, in una con la riduzione dell’apporto causale del colpevole, si determinerebbe anche una decisa riduzione del grado della colpa ad esso addebitabile.

Sarebbe, dunque, del tutto irragionevole precludere al giudice che decide sull’istanza di messa alla prova la formulazione di tale giudizio di ridotta gravità, in funzione della concessione o meno del beneficio, tanto più ove si consideri che il giudice della nomofilachia, nella già citata pronuncia (Cass., n. 36272 del 2016), ha statuito che il giudizio effettivo di ammissione del rito deve essere formulato dal giudice del merito tenendo conto della concreta gravità del fatto, valutata sulla base dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., e, in particolare, della condotta, dell’entità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa e del grado della colpa.

Oltre che irragionevole in sé, la disposizione sospettata di illegittimità costituzionale, non consentendo la possibilità di computare la predetta attenuante ad effetto speciale, nella sua massima portata diminuente nell’ipotesi in cui sia avanzata istanza di messa alla prova dell’imputato contro il quale si proceda per omicidio stradale, darebbe luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento in confronto a fattispecie criminose punite con pene decisamente più elevate, rispetto alle quali, tuttavia, la sospensione del procedimento con messa alla prova sarebbe astrattamente ammissibile.

Il giudice a quo esemplifica con riferimento alle fattispecie delle lesioni dolose gravissime (punite nella forma aggravata con la reclusione da sei a dodici anni: artt. 582 e 583 cod. pen.); della resistenza a pubblico ufficiale aggravata dal numero di più di cinque persone riunite e dall’impiego di armi (sanzionata con la reclusione da tre a quindici anni: artt. 337 e 339 cod. pen.); e della ricettazione aggravata dalla finalità di agevolare una associazione mafiosa (punita con la reclusione da due anni e otto mesi a dodici anni: artt. 648 e 416-bis cod. pen.).

Osserva, inoltre, che anche per la contigua fattispecie delle lesioni personali stradali gravi o gravissime di cui all’art. 590-bis cod. pen., la messa alla prova sarebbe percorribile, persino quando ricorressero plurime circostanze aggravanti (tra cui, ad esempio, l’eccesso di velocità, la fuga del conducente o lo stato di ebbrezza), trattandosi di reato per il quale si procede con citazione diretta a giudizio, ai sensi dell’art. 550, comma 2, cod. proc. pen.

Il rimettente ritiene, infine, che la preclusione di cui all’art. 168-bis cod. pen., nell’interpretazione datane dal diritto vivente, oltre che porsi in contrasto con l’art. 3 Cost. (per l’intrinseca irragionevolezza e per la disparità di trattamento con altre figure criminose), violerebbe anche l’art. 27, terzo comma, Cost., che assegna alla pena finalità rieducativa, posto che, nella fattispecie concreta, l’imputata, pur incensurata e mai in passato coinvolta in incidenti stradali, sarebbe condannata alla pena della reclusione anziché beneficiare di un trattamento sanzionatorio alternativo attraverso lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, che ne consentirebbe meglio la risocializzazione.

5.– Nel giudizio incidentale si è costituita S.M.N. Z., la quale ha invocato l’accoglimento delle questioni, aderendo alla prospettazione dell’ordinanza di rimessione.

6.– Con atto del 6 settembre 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel presente giudizio e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o non fondate.

7.– In prossimità dell’udienza pubblica sia l’interveniente sia la parte hanno depositato memorie illustrative.

Considerato in diritto

1.– Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Torino, con l’ordinanza del 21 marzo 2022 (reg. ord. n. 83 del 2022), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, cod. pen., nella parte in cui non consente l’astratta ammissibilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato in ipotesi di omicidio stradale allorché non ricorra alcuna aggravante e sussistano gli estremi dell’attenuante ad effetto speciale del concorso di colpa della vittima nella causazione del sinistro mortale, specificando che l’attenuante è prevista dall’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen.

Il giudice rimettente deduce la violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., avuto riguardo, in particolare, al carattere irragionevole della prevista esclusione e alla disparità di trattamento rispetto a fattispecie criminose (quale il reato di lesioni dolose gravissime) punite con pene decisamente più elevate, per le quali, tuttavia, la sospensione del procedimento con messa alla prova sarebbe astrattamente ammissibile.

Secondo il giudice rimettente, è violato anche l’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto la disposizione censurata, precludendo all’imputato la possibilità di beneficiare, in via anticipata e in luogo della pena detentiva, di un trattamento sanzionatorio alternativo attraverso lo svolgimento di lavori di pubblica utilità diretti a consentirne la risocializzazione, contrasterebbe con la finalità rieducativa della pena.

2.– Sussiste la rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.

Il giudice rimettente – al quale, nel corso dell’udienza preliminare, l’indagata del reato di omicidio stradale ha avanzato richiesta di ammissione alla prova con sospensione del procedimento ai sensi dell’art. 168-bis cod. pen. – si interroga in ordine all’ammissibilità, o non, di tale domanda.

A suo dire, ricorrerebbero tutti i presupposti per la messa alla prova: l’imputata è incensurata e non è mai stata coinvolta in incidenti stradali; ha risarcito il danno; ha presentato il programma di trattamento elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterna ed è disponibile a svolgere lavori di pubblica utilità.

Non sussiste alcuna circostanza aggravante, neppure di quelle ad effetto speciale previste dall’art. 589-bis, commi dal secondo al sesto, cod. pen. (l’imputata non si trovava in stato di ebbrezza o alterazione; non viaggiava ad una velocità superiore a 70 chilometri orari; non attraversava un incrocio con semaforo rosso; non circolava contromano, né compiva una manovra di sorpasso o inversione del senso di marcia).

Sussisterebbe, invece, la circostanza attenuante ad effetto speciale prevista dall’art. 589-bis, settimo comma, («[…] qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole […]») in ragione del concorso di colpa della vittima che – riferisce il rimettente – «attraversava fuori dalle strisce pedonali a notevole distanza dall’incrocio semaforico, arrivando a percorrere oltre 3 metri della carreggiata centrale».

Vi sarebbe, quindi, un solo impedimento all’ammissibilità della richiesta dell’indagata. La pena edittale per il reato di omicidio stradale “base” (ossia non circostanziato) è la reclusione da due a sette anni; pena che, per effetto dell’attenuante del settimo comma, è diminuita «fino alla metà» sicché nel minimo potrebbe essere la reclusione di un anno, ma nel massimo, potendo la pena essere diminuita anche di un solo giorno, rimarrebbe comunque superiore alla soglia di quattro anni.

Pertanto, è escluso l’accesso al beneficio secondo la portata testuale dell’art. 168-bis cod. pen., che è denunciato di illegittimità costituzionale, proprio nella parte in cui non consente tale accesso nella particolare ipotesi dell’omicidio stradale commesso con concorso di colpa della vittima.

Da ciò, la rilevanza delle questioni, la cui non manifesta infondatezza è poi sufficientemente motivata.

Il giudice rimettente deduce il contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, Cost., dell’art. 168-bis cod. pen. nella parte in cui non consente l’astratta ammissibilità della messa alla prova per il delitto di omicidio colposo stradale di cui all’art. 589-bis cod. pen., nell’ipotesi in cui, non ricorrendo alcuna aggravante, sussistano gli estremi della circostanza attenuante ad effetto speciale del concorso di colpa della vittima nella causazione del sinistro mortale, attenuante prevista dall’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen.

3.– Va premesso, come quadro normativo di riferimento, che la sospensione del procedimento con messa alla prova costituisce un istituto del diritto penale punitivo “non carcerario”, già sperimentato nel procedimento minorile.

Esso è stato introdotto – nel codice penale (quanto all’aspetto sostanziale: artt. 168-bis e seguenti) e nel codice di rito (quanto ai profili processuali: artt. 464-bis e seguenti) – rispettivamente dagli artt. 3, comma 1, e 4, comma 1, della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), legge che recava un’ampia delega in materia penale.

L’introduzione di questa misura è pressoché contemporanea a quella di un altro istituto, previsto dalla stessa legge di delega e disciplinato dal successivo decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, recante «Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67»: l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis cod. pen.).

I due istituti condividono la finalità di alleggerire il peso, gravante sul sistema giudiziario penale, di processi per fatti, in senso lato, “minori” nella logica, appunto, del diritto penale punitivo cosiddetto extramurario.

In questo contesto, poi, la messa alla prova si segnala, in particolare, perché rappresenta, in sostanza, una forma costituzionalmente compatibile di sospensione dell’esercizio dell’azione penale, la cui obbligatorietà è resa meno rigida.

Il beneficio della messa alla prova è concedibile una sola volta dal giudice, sentite le parti nonché la persona offesa. L’indagato o l’imputato, che soddisfa le condizioni di cui all’art. 168-bis (tra cui l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato), accetta – in limine (prima che il processo abbia corso) e, nella fase delle indagini preliminari, sempre che non si opponga il pubblico ministero (il quale, quindi, aderisce a questa sorta di sospensione dell’istanza di punizione con una pena, in particolare, detentiva) – una serie di limitazioni, pur senza riconoscersi “colpevole”. È affidato al servizio sociale e svolge una prestazione di lavoro di pubblica utilità; osserva le prescrizioni indicate nel programma di trattamento, la cui inosservanza comporta la revoca del beneficio.

Decorso il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova (non più di due anni), il giudice dichiara con sentenza estinto il reato se, tenuto conto del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite, ritiene che la prova abbia avuto esito positivo. Invece, in caso di esito negativo della prova, il giudice dispone con ordinanza che il procedimento riprenda il suo corso.

4.– Due sono le categorie di reati per i quali è ammissibile la messa alla prova.

L’accesso all’istituto è in astratto possibile: a) per reati con «pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni» (oltre che, in ipotesi, con la sola pena edittale pecuniaria); b) per reati ricompresi nell’elenco di cui al comma 2 dell’art. 550 cod. proc. pen., per i quali il PM esercita l’azione penale con la citazione diretta a giudizio.

Anche per i reati a citazione diretta è previsto lo stesso doppio canale: a) delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni (comma 1 dell’art. 550 cod. proc. pen.); b) reati ricompresi nell’elenco di cui al comma 2 della stessa disposizione.

Quanto alle circostanze del reato il comma 1 dell’art. 550 richiama espressamente l’art. 4 cod. proc. pen., il quale stabilisce (per la determinazione della competenza) che non si tiene conto delle circostanze del reato, fatta eccezione delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale.

Le circostanze aggravanti ad effetto speciale – che sono quelle che comportano un aumento della pena superiore ad un terzo (art. 63 cod. pen.) – connotano il reato come decisamente più grave. Esse rilevano al fine di stabilire se sia possibile il rito della citazione diretta. Se si passa dal reato base a quello più grave, perché c’è un’aggravante a effetto speciale, allora la regola della citazione diretta non vale più; occorre che l’incolpazione sia verificata dal giudice in sede di udienza preliminare.

L’art. 550, comma 1, cod. proc. pen., si disinteressa, invece, delle attenuanti a effetto speciale perché queste identificano reati meno gravi per i quali la citazione diretta si giustifica a maggior ragione. C’è una chiara ragione a fortiori che giustifica, a questo fine, il mancato rilievo delle attenuanti a effetto speciale.

La giurisprudenza di legittimità si è interrogata in ordine alla rilevanza delle aggravanti a effetto speciale ai fini della messa alla prova.

Parte di tale giurisprudenza ha ritenuto sussistere un parallelismo tra messa alla prova e citazione diretta (in tal senso, in particolare, Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 6 ottobre-25 novembre 2015, n. 46795): se il reato è più grave per l’esistenza di un’aggravante a effetto speciale, non è possibile la citazione diretta, né è ammissibile la richiesta di messa alla prova; altra parte ha invece ritenuto che l’effetto escludente delle aggravanti ad effetto speciale fosse (testualmente) previsto solo per la citazione diretta, ma non anche per la messa alla prova (ex aliis, Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 9 dicembre 2014-13 febbraio 2015, n. 6483).

Le Sezioni unite, investite della composizione del contrasto di giurisprudenza, hanno accolto quest’ultima interpretazione (Cass., n. 36272 del 2016), valorizzando soprattutto il dato testuale del mancato richiamo, nell’art. 168-bis cod. pen., del comma 1 dell’art. 550 cod. proc. pen., che contiene, a sua volta, il rinvio all’art. 4 citato.

La Corte di cassazione, con la pronuncia indicata ha disatteso la tesi che predicava la rilevanza di tutte le circostanze, aggravanti e attenuanti, comuni e speciali, «considerando che gli aumenti previsti dalla legge sono “mobili”, oltre che proporzionali rispetto alla pena-base, e manca un criterio applicativo di riferimento».

La «pena edittale» ex art. 168-bis cod. pen. è quella prevista per il reato non circostanziato e quindi, in particolare, non assumono a tal fine alcun rilievo le circostanze aggravanti, comprese le circostanze ad effetto speciale e quelle per cui la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.

La decisione è ispirata, altresì, ad una sorta di favor per l’istituto della messa alla prova.

Si sottolinea, in particolare, che il legislatore ha dato impulso ad un profondo ripensamento del sistema sanzionatorio che ancora oggi «gravita tolemaicamente intorno alla detenzione muraria». Il nuovo corso è appunto testimoniato dalla legge n. 67 del 2014, che ha introdotto la messa alla prova e la particolare tenuità del fatto; istituti diretti a contenere l’inflazione penalistica, nel tentativo di ridurre la crisi della sanzione penale, rendendo possibile il ricorso a reazioni «appropriate alla specificità dei fatti criminosi», in una concezione gradualistica dell’illecito: «la pena può non essere la conseguenza ineluttabile di ogni reato».

L’effetto pratico di questa decisione è stato che la messa alla prova è possibile anche in caso di reati che, tenendo conto dell’aggravante a effetto speciale, potrebbero essere puniti con una pena ben maggiore di quella di quattro anni di reclusione, stabilita come discrimine dall’art. 168-bis cod. pen.

Il giudice rimettente ha facile gioco a segnalare che, se una persona è imputata di lesioni volontarie gravissime (reato doloso), la pena può arrivare a dodici anni di reclusione, proprio perché il fatto è molto grave. Per questo reato aggravato, per un verso non è possibile il rito semplificato della citazione diretta, ma occorre passare per l’udienza preliminare; per l’altro, è non di meno ammissibile l’istanza di messa alla prova.

Analoga considerazione può ripetersi quanto alle lesioni stradali gravissime, anche se aggravate da una delle circostanze ad effetto speciale di cui all’art. 590-bis cod. pen., che sono punite in misura finanche più elevata rispetto all’omicidio stradale non circostanziato (tale sarebbe il reato di chi, guidando un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica, investa un pedone riducendolo in condizioni di invalidità totale irreversibile).

5.– Nella più recente stagione di riforme, il legislatore ha ulteriormente puntato sulla messa alla prova dell’indagato o imputato con sospensione del procedimento.

La legge 27 settembre 2021, n. 134 (Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari) ha previsto, tra l’altro: a) di estendere l’ambito di applicabilità della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, oltre ai casi previsti dall’art. 550, comma 2, cod. proc. pen., a ulteriori specifici reati, puniti con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a sei anni, che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell’autore, compatibili con l’istituto; b) di prevedere che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato possa essere proposta anche dal PM.

Nell’esercizio della delega – con il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari) – l’elenco dei reati a citazione diretta (art. 550, comma 2, cod. proc. pen., come novellato), per i quali, come detto, è anche possibile la messa alla prova, si è arricchito di numerosi reati, tutti puniti mediamente con pena edittale di cinque anni di reclusione, talora anche di sei anni; quindi oltre la soglia di quattro anni di cui all’art. 168-bis, primo comma, cod. pen.

Particolarmente significativa è, poi, la nuova fattispecie di messa alla prova introdotta dall’art. 464-ter.1 cod. proc. pen.: la sospensione del procedimento con messa alla prova su proposta del PM nel corso delle indagini preliminari. L’iniziativa non è dell’indagato, ma dello stesso PM che, nel comunicare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, può proporre alla persona sottoposta ad indagini la sospensione del procedimento con messa alla prova, indicando la durata e i contenuti essenziali del programma trattamentale.

6.– Anche nella giurisprudenza di questa Corte, che è intervenuta con varie pronunce di illegittimità costituzionale, emerge un favor per la messa alla prova.

È stata riconosciuta la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova a seguito della nuova contestazione di una circostanza aggravante (sentenza n. 141 del 2018) ovvero di modifica dell’originaria imputazione (sentenza n. 14 del 2020).

Inoltre, in caso di reato connesso contestato in dibattimento, è stata riconosciuta, all’imputato, che inizialmente non abbia presentato richiesta di messa alla prova, la facoltà di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, con riferimento a tutti i reati contestatigli (sentenza n. 146 del 2022).

Più recentemente, l’art. 168-bis, quarto comma, cod. pen. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nell’ipotesi in cui si proceda per reati connessi (ex art. 12, comma 1, lettera b, cod. proc. pen.) con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso (sentenza n. 174 del 2022), così superando il limite della concedibilità del beneficio per una sola volta. È possibile anche una seconda richiesta di messa alla prova se riferita ad un reato connesso a quello per il quale una precedente richiesta è già stata accolta.

7.– Tutto ciò premesso, le sollevate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, cod. pen. non sono fondate, innanzi tutto in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., sotto il profilo della denunciata disparità di trattamento, coniugata alla censura di irragionevolezza intrinseca per la mancata rilevanza delle attenuanti ad effetto speciale e segnatamente di quella prevista per il reato di omicidio stradale dal settimo comma dell’art. 589-bis cod. pen. («qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole»).

8.– Il legislatore, anche dopo la recente riforma del 2022 (d.lgs. n. 150 del 2022) che ha lasciato invariato, in questa parte, il disposto dell’art. 168-bis cod. pen., è rimasto fermo nell’iniziale scelta di individuare i reati, per i quali è consentita la messa alla prova, sulla base della pena edittale detentiva prevista in misura non superiore nel massimo a quattro anni; pena che, in quanto «edittale», è riferita alla fattispecie del reato non circostanziato.

Si tratta di una scelta di politica criminale rimessa alla discrezionalità del legislatore, il quale non irragionevolmente ha fissato una soglia di pena massima irrogabile, quale discrimine per l’accesso al beneficio, e ciò ha fatto con riferimento a quella edittale, prevista per il reato base non circostanziato, senza quindi dare rilievo alle circostanze né aggravanti né attenuanti, quantunque ad effetto speciale.

È vero che, invece, per il parallelo – e pressoché contemporaneo – istituto della non punibilità per la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis cod. pen.) rileva la diminuzione di pena in ragione dell’applicazione delle attenuanti ad effetto speciale, al pari del suo aumento ove ricorrano circostanze aggravanti, anch’esse ad effetto speciale.

Ma ciò si spiega in ragione dell’accertamento, ad opera del giudice, dell’effettiva sussistenza delle circostanze al fine della dichiarazione della suddetta causa di non punibilità.

Invece, nel caso della messa alla prova, il processo è sospeso e la valutazione del giudice è fatta in limine, ossia prima dell’accertamento giudiziale sull’incolpazione e quindi prima che possa risultare il concorso di un’attenuante a effetto speciale.

Infatti, la richiesta di messa alla prova può essere avanzata prima dell’apertura del dibattimento o, se c’è il filtro dell’udienza preliminare, fino a quando non siano formulate le conclusioni delle parti.

Manca un accertamento in ordine alla effettiva sussistenza di attenuanti (come anche di aggravanti) a effetto speciale, che normalmente non appartengono all’incolpazione. Del resto la richiesta di rinvio a giudizio, fatta dal PM, deve contenere, oltre all’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, l’indicazione delle circostanze aggravanti (art. 417, comma 1, lettera b, cod. proc. pen.); ma non è prescritto – pur non essendo escluso – che contenga anche l’indicazione di eventuali attenuanti.

Solo nell’ipotesi in cui è prescritta l’udienza preliminare – come in caso di reato ricadente nel catalogo di cui al comma 2 dell’art. 550 cod. proc. pen., ove ricorra un’aggravante ad effetto speciale che elevi il massimo della pena oltre la soglia della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni – il GUP potrebbe tener conto delle risultanze processuali emergenti, fino a quel momento, dagli atti di indagine. Ma neppure in tale evenienza vi è un accertamento della sussistenza di attenuanti a effetto speciale, né tanto meno del reato e della colpevolezza dell’imputato.

In difetto dell’udienza preliminare, rileva ora che la recente riforma penale (d.lgs. n. 150 del 2022) ha introdotto l’udienza di comparizione predibattimentale (in camera di consiglio) a seguito di citazione diretta (art. 554-bis cod. proc. pen.). Quindi anche per i reati a citazione diretta c’è una sorta di udienza-filtro, simile all’udienza preliminare, nel corso della quale i contorni della condotta addebitata all’imputato possono risultare meglio definiti. In particolare, l’art. 554-bis, comma 6, cod. proc. pen., prevede ora che, al fine di consentire che il fatto e la sua definizione giuridica siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, anche d’ufficio, sentite le parti, possa invitare il PM ad apportare le necessarie modifiche.

Si ha quindi che, nell’uno e nell’altro caso (con e senza udienza preliminare), manca un accertamento giudiziale in ordine alla sussistenza di un’attenuante a effetto speciale; né sarebbe sufficiente una mera valutazione prognostica, che l’art. 168-bis cod. pen. non autorizza ad ipotizzare. E ciò vale ancor di più nel caso in cui la richiesta o la proposta siano fatte nella fase delle indagini preliminari.

Invece – si ripete – la rilevanza delle attenuanti ad effetto speciale, al fine della verifica del superamento, o non, della soglia prevista per l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis cod. pen.), fissata, in passato, nella pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ed ora in quella non superiore nel minimo a due anni (art. 131-bis cod. pen., novellato dall’art. 1, comma 1, lettera c, numero 1, del d.lgs. n. 150 del 2022), è condizionata sempre all’accertamento pieno della diminuente e del reato.

Anche recentemente questa Corte ha sottolineato che «una pronuncia di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., in qualunque fase procedimentale o processuale sia collocata, presuppone logicamente la valutazione che un reato, completo di tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, sia stato commesso dalla persona sottoposta a indagini o dall’imputato» (sentenza n. 116 del 2023).

Ciò rende ragione della disciplina differenziata e ne esclude la denunciata irragionevolezza.

In mancanza di un meccanismo processuale di verifica anticipata della sussistenza di attenuanti a effetto speciale, non è irragionevole che il criterio distintivo di identificazione dei reati, per i quali è possibile la messa alla prova, rimanga affidato alla pena edittale nel massimo, senza considerare gli accidentalia delicti, né le aggravanti, né le attenuanti, quantunque ad effetto speciale.

9.– C’è inoltre che, nel caso dell’omicidio stradale, la pena edittale massima, ove anche ridotta in ragione dell’applicazione dell’attenuante ad effetto speciale di cui al settimo comma dell’art. 589-bis cod. pen. – qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole – rimarrebbe comunque superiore alla soglia di ammissibilità della messa alla prova perché in generale, nel caso di prevista possibile diminuzione fino a metà (e non già della metà) della pena, la riduzione – secondo la giurisprudenza (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 3 novembre-22 dicembre 2020, n. 36915) – può essere, nel minimo, di un solo giorno, con la conseguenza che la pena massima irrogabile sarebbe comunque ben più elevata della soglia della pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, prevista dall’art. 168-bis cod. pen.

Affinché possano essere pienamente rilevanti, a tal fine, le attenuanti a effetto speciale, secondo la prospettazione del giudice rimettente, dovrebbe introdursi un più favorevole criterio di computo, quale in ipotesi sarebbe quello della massima (e non già della minima) riduzione possibile.

Con siffatto più favorevole criterio la pena massima irrogabile per l’omicidio stradale, non aggravato da alcuna delle circostanze a effetto speciale di cui all’art. 589-bis cod. pen. e diminuito per il concorso di colpa della vittima, potrebbe rientrare al di sotto della soglia fissata dall’art. 168-bis, primo comma, cod. pen. (ossia della pena edittale non superiore nel massimo a quattro anni).

Tuttavia, appartiene alle scelte di politica criminale del legislatore una tale opzione che non potrebbe essere limitata all’attenuante di cui al settimo comma dell’art. 589-bis cod. pen., ma dovrebbe riguardare in generale il criterio di computo delle attenuanti ad effetto speciale, una volta che se ne introducesse la rilevanza agli effetti della messa alla prova di cui all’art. 168-bis cod. pen.

Anche sotto questo profilo le censure di disparità di trattamento e di irragionevolezza intrinseca appaiono non fondate.

10.– Né può dirsi violata la prescrizione dell’art. 27, terzo comma, Cost., secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.

È sufficiente considerare che, ove risultasse in giudizio che effettivamente l’evento non sia stato esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione dell’imputata del reato di omicidio stradale, in ragione del concorso di colpa della vittima, la pena potrebbe essere ridotta fino a metà di quella prevista per il reato non circostanziato e, in tal modo, soccorrerebbero altri istituti (quali le misure alternative alla detenzione, nonché la sospensione condizionale della pena), parimenti ispirati ad evitare la condanna ad una pena che possa essere percepita come non proporzionata e quindi tale da non favorire la risocializzazione del condannato.

11.– In conclusione, le sollevate questioni di legittimità costituzionale sono non fondate in riferimento ad entrambi gli evocati parametri.

Rimane la criticità segnalata dal giudice rimettente.

L’allargamento dell’area di applicazione della messa alla prova con sospensione del procedimento penale anche a reati molto gravi, in ragione delle aggravanti ad effetto speciale, non preclusive dell’accesso al beneficio, ha però lasciato immutata la perdurante mancanza di rilevanza, a tal fine, delle attenuanti parimenti ad effetto speciale, che, all’opposto, possono ridurre notevolmente la pena, talora finanche in misura inferiore a quella prevista per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

È quindi auspicabile una più ampia ammissibilità del beneficio della messa alla prova con sospensione del procedimento anche per reati che sono decisamente meno gravi proprio in applicazione di attenuanti ad effetto speciale.

Di ciò non potrà non farsi carico il legislatore.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, primo comma, del codice penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Torino, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2023.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Valeria EMMA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2023